I vini fini vengono considerati come investimenti grazie a cui, ovviamente all’interno in un portafoglio differenziato, resistere alla pressante inflazione di questi ultimi periodi.
Quali tra i fine wines hanno retto meglio la pressione dell’inflazione e delle contrazioni del mercato, venendo perciò scambiati maggiormente o strappando valutazioni più alte?
Bordeaux certamente, Champagne, anche se in calo rispetto a qualche anno fa, più di tutti la Borgogna.
Se consideriamo i valori d’inflazioni della Gran Bretagna, leggermente più alti di quelli di casa nostra ma con un valore complessivo che non supera il 7%, alcuni vini di Borgogna hanno avuto performance molto resilienti, rispetto all’inflazione dell’ultimo anno.
Il migliore è stato il Montrachet Marquis de Laguiche ’19 di Joseph Drouhin; maison è importata in esclusiva di Italia da Balan (membro di Società Excellence).
Tornando al vino si tratta di un’etichetta ricavata da una parcella curata dalla maison Drouhin sin dagli anni ’40.
Terreni calcarei e insieme rossastri, poveri, in francese ‘rachet’ significa ‘non fertile’.
Nonostante il nome il risultato è un vino potente, ma che rimane sempre elegante, merito di una vinificazione in legno: l’affinamento dura meno di due anni in legno di cui un terzo nuovo.
La 2019 è stata un’annata molto buona, che ha permesso al vino non solo di reggere i colpi dell’inflazione, ma di replicare con una crescita di valore complessiva, superiore al 60% dalla data di rilascio della cassa sul mercato.
Alla luce di questo la 2021, meno abbondante, rispetto ad una referenza già molto poco diffusa, probabilmente rappresenterà un ulteriore strumento di difesa contro l’inflazione.
Di seguito un grafico che evidenzia la performance dei vini fini (linee bordeaux e blu) anche nei confronti di un bene rifugio come l’oro.